Capri come
antico prototipo di luogo della mente
LORENZO L. BORGIA
NOTE E
NOTIZIE - Anno XIX – 01 ottobre 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: BREVE DISCUSSIONE]
Capri,
regina di roccia, nel tuo vestito color amaranto
e giglio
vissi sviluppando la felicità e il dolore…
[Pablo Neruda]
In nessun
luogo al mondo ci sono tante occasioni
di deliziosa
quiete come in questa piccola isola.
[Charles Dickens]
L’eccesso di
presenza a sé stessi o “eccesso di coscienza”, come un tempo la si chiamava in
psicoterapia psicodinamica, è una condizione generata dall’intenso e quotidiano
impegno nella realtà adulta con tutti i suoi obblighi, gli adempimenti, le
incombenze, le urgenze, le preoccupazioni della vita lavorativa, della vita
sociale in genere e della vita privata. La mente costantemente rivolta a doveri
da compiere, a compiti non eludibili, a problemi da risolvere, a difficoltà da
affrontare con determinazione, immediatezza, efficacia ed efficienza per
potersi subito occupare di un nuovo nodo da sciogliere o di un grattacapo imprevisto,
si stanca. Anche quando non entra nella dimensione entropica del funzionamento
da stress perché incontra gratificazioni e compensi lungo il percorso,
avverte il peso di quel setting neurofunzionale caratterizzato da vigile
attenzione e costante supervisione critica del proprio operato al fine di rendere
nelle circostanze presenti quanto necessario e, spesso, secondo l’aspettativa
degli altri.
Eccedere in
questo regime comportamentale induce la mente a richiedere non un semplice
riposo, inteso come interruzione dell’attività o ristoro fisiologico mediante
il sonno notturno, ma un cambiamento radicale del modo di funzionare, concepito
dalle persone afflitte da questo regime come un “cambiamento di vita” più che
una semplice vacanza. La psicologia dei soggetti storici, desunta dai documenti
antichi, ci testimonia che fin dai tempi più remoti l’affaticarsi rimanendo con
grande intensità quotidiana costantemente presenti ai propri doveri induceva la
ricerca di un luogo mentale e materiale in cui poter essere liberi dal fardello
della responsabilità, dal peso dell’efficienza, dal timore dell’errore, della malattia
e della morte.
In ogni epoca
vi sono stati luoghi eletti a simbolo di questo ruolo psicologico e oggi, al
tempo del “villaggio globale”, le mete fuori dalle rotte del turismo di massa sono
numerosissime e, tra queste, vi sono arcipelaghi noti più ai geografi che agli
agenti di viaggio.
Ho scelto, per
alcune riflessioni su questo argomento, di eleggere l’isola di Capri a
metonimia di tutti i luoghi che rappresentano l’altrove materiale entro cui
espandere la dimensione psichica della libertà e del sogno, perché tale ruolo
la perla dell’Arcipelago Campano lo ha avuto in un nobile e documentato passato,
quando Ottaviano Cesare Augusto[1]
la chiamava Apragopolis, ossia “paese del dolce far nulla”[2].
Come sostenuto
da Strabone nella sua opera Geografia[3]
e confermato da studi recenti[4],
in un’epoca remota Capri era congiunta alla terraferma, ossia era fusa alla
Punta Campanella, estrema propaggine della Penisola Sorrentina. Se non fosse
diventata un’isola o non si fosse allontanata tanto dalla costa, avrebbe avuto
lo stesso fascino? È lecito che molti ne dubitino.
È opportuno
cercare le prime tracce della comparsa di Capri nella cultura perché, quando in
epoca romana gli imperatori ne diffusero la conoscenza, l’immagine dell’isola
era quella di un luogo semideserto costellato di bellezze naturali e
contraddistinto da resti e reperti misteriosi e suggestivi di antichissime
civiltà.
Esiodo, poeta
greco dell’VIII secolo a.C. contemporaneo di Omero secondo Erodoto, descrive un’isola
fiorita identificata poi con Capri che, con le sue distese verdi e i suoi
pericolosi precipizi, corrisponde perfettamente alla descrizione omerica di un’isola
abitata dalle Sirene. E proprio questa fama la identificava nel mondo classico.
In proposito, non si può trascurare la menzione di Servio (Servius Marius
Honoratus) che, nel suo commento all’Eneide di Virgilio (Aen., 5,
864), scrive di queste creature per metà uccello e per metà donna vissute prima
a Pelorias e poi a Capreae, cantando, suonando il flauto e la
lira secondo la leggenda. Ma poi spiega che, in realtà, le Sirene erano la
mitizzazione di donne cantanti o aleutridi che si prostituivano e mandavano in
rovina i marinai da loro sedotti.
L’isola, ricca
di bellezze naturali e priva dei segni distintivi dell’organizzazione politica
del continente, costantemente incorniciata dall’azzurro del cielo e del mare per
una posizione geografica che le concede molti più giorni di bel tempo della
terraferma, poteva bene rappresentare un “altrove” desiderabile, un luogo di
libertà, dove si riduce e si allenta il vincolo psicologico al nomos, ossia
alla legge interiorizzata che ti obbliga e ti costringe nel diuturno vivere
secondo le regole della civiltà, della politica, del lavoro, del gruppo sociale
di appartenenza, della casa e delle tue stesse ansie e paure.
Dall’età
neolitica (8000 a.C. – 3500 a.C.) all’età del bronzo (3400 a.C. – 1100 a.C.) c’era
stata una presenza antropica significativa che aveva lasciato una grande
quantità di manufatti, quali armi di quarzite scheggiate a punta, a triangolo o
a foggia amigdaloide, armi e utensili in bronzo dalle forme più diverse e
talvolta di difficile interpretazione d’uso. Testimonianze che avevano
affascinato e interessato Augusto, al punto che fece della sua prima dimora caprese
una sorta di museo dell’epoca preistorica: raccolse il maggior numero di reperti
possibile, tra fossili e oggetti, e creò un ambiente che contribuiva a farlo
sentire distante da Roma e da tutti i significati evocati dai segni del nomos[5].
Augusto visitò
l’isola per la prima volta al ritorno dall’Oriente nel 29 a.C., quando non era
ancora imperatore, e subito fu attratto dagli scenari naturali e, secondo
Svetonio, fu colpito da una enorme vecchissima quercia rinsecchita che stava
prendendo nuova vita: decise di portare Capri sotto la giurisdizione di Roma,
sottraendola a Napoli che l’amministrava dal 328 a.C., e, a tale scopo, diede in
cambio ai Partenopei la più grande, fertile e popolata isola di Ischia (Pithecusa)[6].
Il futuro primo imperatore di Roma aveva in tal modo acquistato un sogno,
col preciso scopo di preservarlo nella sua funzione di luogo in grado di
evocare uno stato della mente differente, speciale, unico, perché capace di far
diventare realtà vissuta un semplice desiderio.
Sull’isola, da
tempi remoti, si erano costituite due comunità distinte per antropologia,
cultura e provenienza, quella residente nella parte bassa prossima al porto, cioè
Capri propriamente detta, e quella insediata nella parte alta, detta Anacapri.
Le due comunità, in origine in conflitto tra loro, al tempo di Augusto vivevano
in apparente tranquillità, anche perché materialmente distanti e separate da
una lunga struttura a gradini costruita dai Greci ma detta – non si sa bene
perché – Scala Fenicia. Ad Augusto non fu difficile dare loro una legislazione
che, pur essendo liberale, ne conteneva il raggio d’azione preservando gli
spazi naturali del suo piccolo paradiso terrestre[7].
Presso il porto sorse il palazzo di Augusto e, in cima alla Scala Fenicia, fu
edificata la Villa Imperiale[8].
L’imperatore
Tiberio successe ad Augusto, dal quale ereditò la passione per Capri, ma nel
suo amore andò molto oltre il suo predecessore: fece costruire nella zona est
dell’isola, sulla vetta di quello che si chiamerà Monte Tiberio, la Villa Jovis,
dove si trasferì con la corte e stabilì la sede di alcune cariche dello Stato,
governando così l’Impero Romano per undici anni dall’isola di Capri.
Durante la sua
lunga, complessa, intensissima e tormentata vita, Tiberio aveva anche vissuto
in un’altra isola, Rodi, il cui nome in greco antico (Rhodon)
voleva dire “rosa” e dove si ammirava una delle sette meraviglie del mondo: una
statua gigantesca del dio Elio detta il Colosso di Rodi. Ebbe in quell’isola un
periodo di esilio, ma, avendo scoperto le risorse e il piacere della vita serena
in un ambiente naturale, vi trascorse poi alcuni anni in ritiro volontario.
Proprio quell’esperienza lo aveva reso esperto della vita isolana e dei suoi
vantaggi per la tranquillità e la salute, inducendolo a perlustrare Capri alla
ricerca di emozioni, sensazioni, colori e momenti indimenticabili. Anche se l’età
avanzava inesorabile, lo stile di vita che condusse negli undici anni di impero
caprese lo conservò attivo ed efficiente fino all’età di 95 anni, quando si
spense nel luogo che più aveva amato, e dove la vita era stata per lui, ogni
giorno, un sogno.
Tiberio, secondo Imperatore Romano, si
guadagnò così il titolo popolare di Imperatore di Capri. Fu molto amato e gli
storici oggi concordano nel ritenere che, le leggendarie esecuzioni capitali
che avrebbe compiuto facendo gettare i condannati giù dal Salto di Tiberio,
siano un’invenzione calunniosa degli avversari politici[9].
Le ville imperiali
romane raggiunsero il numero di dodici e, nei secoli seguenti, non più solo gli
imperatori ma tanti tra i potenti, i ricchi e le celebrità realizzarono il
sogno di avere una dimora nell’isola dell’altrove ideale.
Stimolante il
paragone con l’isola che rappresenta nella storia della cultura il non luogo
per antonomasia, ossia l’isola di Utopia di Tommaso Moro. La chiave
fondamentale della differenza è data dal fatto che Capri costituisce un quadro
di natura entro cui può iscriversi la coscienza umana nella dimensione
del sogno, mentre Utopia è la costruzione immaginaria di un ordinamento
politico perfetto che realizza un sogno dell’autore.
In Capri la
realtà dell’ambiente è tutto, e l’organizzazione sociale degli isolani un particolare
trascurabile: la vita è godere della natura. In Utopia, come si vede dalla xilografia
che illustra l’isola nell’edizione del 1516 e ancor di più nell’incisione di
Ambrosius Holbein del 1518, le chiese, gli edifici pubblici, e le scritte esplicative
occupano tutto lo spazio, riducendo la terra a una linea di contorno che separa
dal mare. L’isola immaginaria di San Tommaso Moro non ha fisionomia e identità
naturale ma solo consistenza giuridica e istituzionale, come d’altra parte
dichiarato dall’autore che riferisce le parole dell’immaginario viaggiatore-filosofo
Raffaele Itlodeo: “Ora ho determinato di narrare solamente quanto egli disse
dei costumi ed ordini degli Utopiensi; premettendo un parlare, mediante il
quale perveniamo a ragionare di questa repubblica”[10].
Capri si era
separata per eventi naturali dalla Punta Campanella, ossia dalle terre abitate,
frequentate e conosciute, in un tempo indeterminato e antecedente di molti millenni
l’epoca storica; Utopia era stata separata dal continente dalla titanica
impresa del suo primo re, Utopo, che aveva tagliato l’istmo che la congiungeva
alla terraferma. Capri è realtà di natura, Utopia è immaginata in tutto come
artificiale.
Chi era
attratto dal fascino dell’isola campana voleva uscire da un mondo materiato di
leggi, regolamenti, convenzioni di ruolo, consuetudini formali, imperativi
sociali, obblighi improcrastinabili, scadenze improrogabili e gerarchie di
impellenze esterne che opprimono il pensiero, e voleva entrare in un mondo
naturale di libertà, in cui si può vivere introiettando il sereno del cielo, la
calma del mare, l’energia e lo splendore del sole su paesaggi che riflettono la
luce della bellezza che ciascuno può riscoprire dentro di sé.
Nel tempo sono
cambiate le mete immaginate come ambiente naturale di “sogno di libertà”, così
le isole dei Caraibi, le Hawaii, le Bermude, il Brasile, l’India, le Maldive, la
Polinesia e tante altre mete dei mari del sud si sono succedute nelle mode e
nell’immaginario collettivo come luogo dove soddisfare il bisogno di liberarsi
dal mondo artificialmente creato dall’uomo ed entrare in simbiosi con gli
elementi di natura nelle migliori condizioni meteorologiche possibili, secondo
la tipica idealizzazione del desiderio. E questa aspirazione non è da censurare,
liquidare come irrealizzabile o considerare estranea allo stile di vita necessario
ad una buona salute psichica, perché vivere nella libertà, con un frequente
esercizio motorio, un’aria più satura di ossigeno e la radiazione solare
diretta sulla pelle del corpo che migliora l’attività endorfinica del cervello[11]
è sicuramente salutare. Gli effetti benefici sono stati rilevati soprattutto in
qualità di “cambiamento temporaneo di stile di vita”, secondo il criterio della
vacanza.
Con ogni
probabilità, il compromesso del cambiamento di vita temporaneo e periodico,
seguito anche dagli antichi imperatori eccetto Tiberio che trascorse il resto
della vita a Capri, rimane la via da percorrere, ossia rinunciare all’ideale
edenico irrealizzabile, imparare a vivere nel mondo civile, ma periodicamente
ritornare alla natura e ai suoi benefici. Perché vivere senza essere educati al
rispetto degli obblighi di responsabilità, all’operosità nell’osservanza di
regole etiche e ad affrontare le avversità, rende deboli e inetti, ma vivere
solo di doveri, costrizioni e obblighi causa sofferenza psichica e può
compromettere i fisiologici equilibri di adattamento.
L’autore della nota ringrazia il
presidente Giuseppe Perrella per le numerose integrazioni e i miglioramenti
apportati al testo e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Lorenzo L. Borgia
BM&L-01 ottobre
2022
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di
Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice
fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Gaius Octavius Thurinus
Iulius Caesar Augustus, da qui in avanti denominato semplicemente Augusto (63
a.C. – 14 a.C.).
[2] Il vocabolo greco polis,
nella sua accezione più generica, indicava il paese quale stato-nazione; lo si
traduce quasi invariabilmente “città” perché designava le città-stato di Atene,
Sparta, Tebe, ecc., ma il suo valore semantico non sarebbe reso correttamente
in questo caso dal termine italiano “città”. Dell’appellativo di Apragopolis
si legge nel racconto dell’ultimo viaggio di Augusto (Svetonio, De Vita
Caesarum 2, 98, 4; le citazioni da quest’opera nel presente articolo sono
state tratte dal volume storico: Le Vite di Dodici Cesari di C. Svetonio
Tranquillo – volgarizzate da Giuseppe Rigutini col testo a fronte – G. C.
Sansoni Editore in Firenze 1882, consultabile presso la Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze).
[3] Cfr. Strabone, Geografia (XVII
libri storico-geografici dall’originale in greco antico nell’edizione Aldina - Aldo
Manuzio & Andrea Torresano - in Venezia, 1516); il lettore, per la notizia
su Capri, può consultare la traduzione ormai classica curata da Anna Maria Biraschi della sola parte riguardante l’Italia: Geografia
Libro V e VI. L’Italia. BUR Rizzoli, Milano 1988.
[4] È stata rilevata la continuità
geologica con Punta Campanella, confermata da scoperte archeologiche.
[5] Quell’insistenza del significante,
ovvero della forma interpretata come simbolica dal soggetto, di cui parlava la
psicoanalisi francese post-freudiana. O forme evocatrici, secondo la concezione
neuroscientifica della nostra scuola.
[6] Cfr. Svetonio, De Vita
Caesarum, op. cit., 2, 92.
[7] Si trattò di una costituzione
giuridico-amministrativa affidata, come patrimonio di principi, a liberti procuratori.
[8] Oggi Villa San Michele ad
Anacapri. Il medico psichiatra svedese Axel Munthe acquistò le rovine di una vecchia
cappella dedicata a San Michele e, durante i lavori di restauro, nel vigneto
della cappella scoprì i resti di un’antica villa romana: era la Villa Imperiale
di Augusto. Munthe, lavorando da architetto e improvvisandosi archeologo,
recuperò numerosi reperti della villa romana e li espose nella riedificata
cappella del santo. Axel Munthe, che aveva studiato con Charcot maestro di
Freud alla Salpetriere, narrò in una raffinata forma romanzata e autobiografica
la sua riedificazione di Villa San Michele con l’aiuto di manodopera locale in
un libro pubblicato a Londra nel 1929, The Story of San Michele, che
rimane uno dei libri più letti del Novecento.
[9] Il Salto di Tiberio è uno
strapiombo a picco sul mare, alto circa 297 metri, sito nei pressi di Villa
Jovis. Un racconto leggendario, forse creato ad arte da detrattori dell’Imperatore
o forse originato da minacce mai poste in essere, voleva che Tiberio facesse
precipitare giù dal Salto in mare i condannati a morte che, se sopravvissuti,
venivano finiti a colpi di remi da marinai posti nelle barche ai piedi della
parete rocciosa. L’accademico di Francia Maxime Du Camp condusse degli
esperimenti che dimostrarono l’infondatezza della leggenda. Nella fiction
della RAI “Capri” (prima stagione) si vede una scena con una
controfigura di uno dei protagonisti che si lancia da una roccia a qualche
decina di metri sul livello del mare, presentata come un tuffo dai circa
trecento metri del Salto di Tiberio.
[10] Tommaso Moro, Utopia di
Tommaso Moro Cancelliere d’Inghilterra, p. 7, Vincenzo Ferrario, Milano
1821. Si ricorda che, nell’edizione originale in latino del 1516, il titolo era
questo: Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo
rei publicae statu, deque nova insula Utopia.
[11] Note e Notizie 17-01-15
Esporsi al sole per abbronzarsi produce effetti stupefacenti sul cervello.